al contrario

giornale del Mugello

Storia, contestualizzazione e presentazione del Mensile AL CONTRARIO giornale del Mugello, 1978-1981

 

Nel giugno del 1979, quando nasce Al Contrario gran parte dei movimenti (studentesco, operaio, femminista) e delle organizzazioni della Nuova Sinistra che avevano caratterizzato tutti gli anni Settanta, sono scomparsi o in profonda crisi. E anche il Circolo La Comune che  nel comprensorio del Mugello di questi nuovi fermenti era espressione, stava pian piano sfaldandosi. Preso atto di questo, il gruppo redazionale che faceva capo al Circolo, si inventò un giornale come momento di resistenza ultima nel tentativo di mantenere coesi, in qualche modo vicini, persone  ed eventi di realtà sociali (la fabbrica, la scuola, le realtà sindacali più vivaci) che si stavano allontanando e frantumando in preda ad una accelerazione di quei processi di disintegrazione sociale che abbiamo imparato a conoscere da molti anni e che sembrano non aver fine. Il nucleo redazionale fondante era costituito da ciò che restava del Circolo la Comune ( il sottoscritto, Leonardo Romagnoli, Francesco Tucci, Marco Modi e saltuariamente alcuni altri), ma il giornale era concepito come una struttura di servizio, aperta al confronto, al dibattito a posizioni talvolta anche fra loro distanti ma comunque in grado di attivare riflessione e considerazioni critiche. L’importante era non svilire e farsi altoparlante dello spirito critico in ogni ambito del sociale, mantenere aperti canali di comunicazione fra realtà territoriali e culturali ancora vogliose di parlare e battersi. Nessuno di noi era giornalista professionista e allora di fare il direttore responsabile  e assumersi, ovviamente senza nessun compenso, questa nuova bega lo chiedemmo a Daniele Protti che avevo conosciuto alcuni anni prima per una comune militanza nel PSIUP (Partito Socialista di Unità Proletaria). Comprammo da una copisteria in dismissione una vecchissima compositrice Linotype americana, in pratica una grossa macchina da scrivere  che imprimeva su fogli di acetato (tipo di carta lucida) che poi venivano trasformati in lastre zingate a loro volta pronte per essere applicate ad una  stampatrice offset , processo quest’ultimo che avveniva a Firenze nella sede del Centro Stampa del Dibattito Operaio in via Piccagli 11. Questa sede anch’essa di servizio era nata come iniziativa di alcuni collettivi e circoli operai critici verso la linea ufficiale della sinistra istituzionale e poi gruppi studenteschi e di quartiere che avevano esigenza di stampare volantini, creare opuscoli, stampare documenti in proprio a basso costo.  L’animatore ne era Stefano Silvestri, tecnico di Medicina del Lavoro e abile a risolvere le mille complicanze di quando vuoi fare le cose in grande con poche risorse. Il giornale mensile che visse tre anni e che si autofinanziò completamente era distribuito sia nelle edicole dei paesi mugellani sia a mano dagli autori stessi che lo riportavano là dove le notizie, le attività, le esperienze descritte erano nate. Il titolo curioso di AL Contrario non deve stupire e risponde a due generi di esigenze : da un lato il nostro porsi come un strumento di informazione non addomesticata o mediata  da esigenze istituzionali o politiche e dall’altro nel voler essere provocatori  fin dal titolo dato che volevamo rimarcare che sui piccoli come sui grandi temi dell’economia, della società, come su quelli di costume, del personale e del politico eravamo in disaccordo radicale  con la cultura dominante del tempo di cui quella comunista, egemone in Mugello, era solo una variante locale. Volevamo con forza ribadire  con le numerose inchieste sulle nascenti Coop. Agricole Giovanili, sulla condizione di fabbrica, sull’energia nucleare, sulla cultura antagonista sia in Occidente che a Oriente che un altro mondo era possibile e che per ottenerlo bisognava con tenacia di lungo periodo continuare ad andare in direzione “ostinata e contraria”.  Insieme a noi del Circolo vi scrissero con continuità, alcuni esponenti locali della sinistra socialista e del mondo cattolico impegnato socialmente  e che risentiva ancora in modo chiaro del limpido messaggio donmilaniano  che nel suo esilio di  Barbiana ( Vicchio di Mugello) produsse  una esperienza  paradigmatica e irriproducibile insieme a testi che alimentarono in quegli anni l’opposizione sociale e politica di una grossa fetta del mondo cattolico e non solo cattolico.

D’altronde con queste componenti – socialiste e cattoliche –  lavoravamo insieme anche nel Comitato in Difesa Del Territorio che si opponeva alla costruzione della diga di Bilancino, così come nelle varie campagne contro il nucleare, contro la sistematica distruzione del popolo palestinese o le politiche imperiali delle grandi potenze. Con il PCI non fu mai possibile alcun rapporto  e questo almeno per due motivi: il primo è che si poneva qui come altrove con il suo volto  neostalinista e con egemonia totale sia nelle istituzioni comunali e intercomunali sia sul sindacato che solo molto tardi e con fatica riuscì, e solo in parte, ad autonomizzarsi dalla soffocante “cinghia di trasmissione” che aveva caratterizzato il rapporto  PCI- CGIL fin dal primo dopoguerra. In Mugello i comunisti che contavano erano quasi tutti cossuttiani e già Ingrao stavo loro molto stretto e in costante  odore di eresia. Quelli poi che si ponevano alla loro sinistra, ripetendo un antico e collaudato paradigma erano se non soggettivamente ma sicuramente oggettivamente – in quanto non d’accordo con loro, unica verità – dalla parte del padrone. Loro invece, con i padroncini locali facevano gli affari concreti scambiando terreni edificabili con “regalie” al partito o chiudendo occhi ed orecchie per non vedere lo sfruttamento bestiale che si produceva in qualche  azienda locale che poi sarebbe stata comunque travolta dalla grande crisi di ristrutturazione di lì a pochi anni. Naturalmente avevamo dei rapporti personali buoni con molti militanti del pci soprattutto fra i delegati dei Consigli di fabbrica delle aziende locali, militanti che col cuore spesso ci davano ragione nelle assemblee ma non se la sentivano di fare un passo di lato e abbandonare  “il Partito”, il padre severo ma pur sempre un padre. Anche questi tabù cadranno miseramente da lì a pochi anni (1989), non lasciando quasi traccia di una tradizione secolare del movimento operaio. Il Partito Comunista che certe volte da solo altre con il PSI, colonizzava dal dopoguerra tutti i comuni del basso Mugello e Val di Sieve, non solo non seppe riconoscere come “figlio” seppure disubbidiente e testardo questo giornale ( e ancor prima il Circolo la Comune) , ma lo avversò duramente in ogni momento non capendo che ciò che determinava in quel momento la nostra fine organizzativa (del Giornale e del Circolo) di lì a poco avrebbe demolito dalle fondamenta anche il suo edificio che si presentava apparentemente ben più solido e radicato. L’obbiettivo della nuova ondata restauratrice neoliberista infatti era ben più ambizioso ed era quello di neutralizzare ogni forma di resistenza operaia e sociale partendo dalla distruzione delle organizzazioni storiche. Quindi i partiti comunisti e socialisti europei che, ripetendo un antico paradigma prima ancora proprio della Chiesa,   erano stati vittoriosi nel distruggere con radiazioni, espulsioni e con la violenza e la morte là dove avevano raggiunto la forma stato (URSS e paesi dell’Est Europa) la loro compagine eretica di sinistra, accusata di volta in volta di “estremismo”, “volontarismo”, “soggettivismo”, “settarismo” e poi ovviamente di “tradimento” – furono a loro volta  d’un botto – fra la fine degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso –  spazzati via ed oggi a mala pena se ne ricordano  i libri di storia e i più vecchi ancora rimasti.

Vedendolo a tanti anni di distanza nel mensile  Al Contrario , vi appaiono chiari i limiti tipografici e di composizione assai approssimativa che  talvolta lo rendevano non di facile lettura – caratteri poco incisi o troppo piccoli per far entrare molte cose in poche pagine – ma lo facevamo con passione nei ritagli di tempo con macchine vecchissime da pochi soldi,  consapevoli che i giornali locali che pure c’erano stati a cavallo del secolo,  avevano chiuso tutti i battenti negli anni Venti e che noi stavamo producendo una esperienza unica che nessuno era riuscito a fare , nemmeno i grandi partiti  che controllavano tutte le istituzioni locali (PCI e PSI o la DC nell’ Alto Mugello). Tenevamo alla nostra “creatura” che permetteva a ciò che nel sociale  non era stato ancora del tutto addomesticato ed omologato di esser presente nel dibattito, di coordinarsi, avere una qualche visibilità in una realtà economico sociale come quella del Mugello, tutto sommato marginale della Provincia di Firenze che aveva i suoi centri forti di nuova immigrazione dalle campagne, nella piana  a sud-ovest di Sesto Fiorentino, Prato, Signa, Scandicci. Un’area, il Mugello, fino a quindici anni prima, totalmente mezzadrile  che in cinquant’anni aveva perso quasi metà della popolazione e che, con fatica, cercava di ridefinire il proprio ruolo produttivo e sociale nel contesto provinciale  e regionale.

Nel giugno del 1981 anche  l’ultimo giornale del Mugello, dopo tre anni di pubblicazioni smise di uscire e di lì a poco chiuse anche la sede del Circolo La Comune che del giornale ne era stato l’anima. Ma come si intuiva nell’articolo di fondo dell’ultimo numero riportato sopra per intero, firmato La Redazione  e scritto da me e Leonardo Romagnoli “gli ultimi dei moicani”, non tutto cessò di agitarsi nel comprensorio della Val di Sieve. Anzi, nel decennio successivo due eventi uno locale,  l’opposizione alla costruzione della diga di Bilancino e uno nazionale il referendum vittorioso del 1986 contro la costruzione di centrali nucleari in Italia, segnarono due momenti in cui molte componenti sociali si ricompattarono e trovarono anni di nuove momentanee aggregazioni  che risultarono molto efficaci. D’altronde su Al Contrario questi temi avevano già avuto molto spazio e quindi il terreno era già stato coltivato. Tuttavia come si era capito i movimenti che nascevano erano momentanei finalizzati al raggiungimento di un obbiettivo seppur importante, ma parziale e limitato nel tempo. Con il fragore della caduta del “muretto” di Berlino ( muri di ben altre dimensioni sono nati e continuano a  nascere in Europa come in Palestina o sul confine USA- Messico,  negli ultimi trent’anni !)  le “grandi narrazioni” novecentesche erano tramontate e la crisi di fondo che stava subendo l’ideale socialista ( in senso lato, sia nella sua componente socialdemocratica che comunista-sovietica)  era già ben visibile e irreversibile. Si entrava così nel vivo della grande trasformazione antropologica già con largo anticipo  annunciata negli Scritti Corsari  da Pasolini, crisi che se da un lato non smetterà di creare movimenti Altermondisti  contrari alla Globalizzazione capitalistica dei primi anni del nuovo Millennio, dall’altra porteranno alla totale scomparsa delle vecchie organizzazioni politiche (PCI, PSI, DC etc) o ad una loro mostruosa trasformazione genetica.

Ad inizio estate del 1981 curiosamente il giornale implose per motivi opposti a quelli per cui chiudono i giornali e cioè la mancanza di lettori e quindi il fallimento economico. Nel nostro caso i lettori erano rimasti stabili ( circa 550 tutti i mesi), era la redazione che si era dileguata ! E il motivo era chiaro, noi non facevamo il giornale per ricavarne un profitto dalle vendite, il nostro era tutto lavoro volontario e toglievamo soldi dai nostri magri stipendi per pagare sedi, carta e quant’altro, lo facevamo per un progetto politico di trasformazione radicale ed era proprio questo che era stato battuto e si era dileguato chissà dove e  non riuscivamo più a vederlo nemmeno sull’ultimo orizzonte.  Così una bella mattina (si fa per dire) di giugno io e Leonardo –  ricordo quel momento  lucidamente – scrivemmo  come Redazione superstite  l’articolo di fondo “Via col Vento” (si può leggere sull’ultimo numero del giornale) che segnò la fine del giornale  e dopo circa un anno tirammo giù insieme per l’ultima volta anche  il bandone della sede del Circolo La Comune  in Piazza del Mercato a Borgo San Lorenzo, dove il giornale prendeva corpo. Ci salutammo, ci abbracciammo e dato che eravamo ancora molto giovani – e lui più di me – continuammo con il nostro bagaglio di valori ed  esperienze a navigare a vista nel vasto mare aperto.

Alvaro Masseini

Passignano sul Trasimeno agosto 2019